Scoperto il segreto che fa di un’operaia una regina

La nobiltà non esiste solo tra gli uomini. Anche le api nel loro piccolo presentano una struttura gerarchica ben definita e chi comanda è l’ape regina. Ma se nell’uomo le persone nobili si dice abbiano il sangue blu, per le api dovremmo pensare che sia questione di insulina.

I ricercatori di mezzo mondo si sono sempre interrogati sul perché un’ape, durante lo sviluppo larvale, sia in grado di differenziarsi in regina e assumere caratteristiche completamente diverse rispetto a i suoi “sudditi”. Uno studio a opera dei ricercatori della Arizona State University ha da poco fornito nuovi e interessanti dettagli utili a comprendere questo misterioso fenomeno. Non solo, le analisi effettuate potrebbero portare anche a nuove conoscenze sui meccanismi di invecchiamento nell’uomo.

La ricerca, pubblicata dalla rivista Biology Letters, ha dimostrato che una particolare proteina coinvolta nel corretto funzionamento del sistema insulinico gioca un ruolo fondamentale nel dirigere lo sviluppo di una larva a regina. La differenza tra regina e un’ape operaia è notevole. Le regine hanno dimensione nettamente più grandi e vivono mediamente più a lungo. Inoltre presentano la singolare caratteristica di essere le uniche api fertili, mentre quelle operaie sono essenzialmente sterili poiché la regina è in grado di produrre un ormone che blocca la produzione di uova da parte delle operaie.

Dunque la funzione della regina è esclusivamente riproduttiva. Nonostante esistano tutte queste differenze, il dato incredibile è che non vi è alcuna differenza nel genoma tra un’ape regina e una operaia. Per questa ragione lo sviluppo così diverso è stato per molti studiosi un vero e proprio mistero della natura.

Fino a poco tempo fa, prima della realizzazione del nuovo studio statunitense, la spiegazione più plausibile delle enormi differenze era quella che il diverso destino intrapreso dall’ape fosse dovuto al tipo di nutrimento a cui era sottoposta durante lo sviluppo larvale. Una teoria corretta ma che non spiegava ancora in maniera dettagliata quali fossero quei meccanismi cellulari in grado di determinare una così grande differenza.

Lo studio dei ricercatori americani sembrerebbe ora aver chiarito anche questo punto oscuro. La caratteristica che renderebbe uniche le api regine sembrerebbe essere dovuta all’insulina, quell’ormone che negli uomini è in grado di rimuovere il glucosio presente nel sangue e incamerarlo all’interno delle cellule. Un ormone che, con alcune piccole differenze strutturali, possiedono anche le api.

L’opera degli scienziati è stata quella di andare a sopprimere la funzione di una proteina chiamata IRS. Essa ha la particolare funzione di regolare la risposta delle cellule all’insulina. Da studi effettuati in topo, l’IRS è risultata inoltre fondamentale nei processi di sviluppo, crescita e riproduzione. Le larve di ape in cui era stata soppressa l’attività di IRS sono state alimentate per alcuni giorni con una ricca dieta in grado di tramutare la larva in ape regina. Nonostante fossero nelle condizioni adatte a diventare regine, le larve hanno dato origine inaspettatamente a delle semplici api operaie.

Una scoperta davvero sorprendente ma che non rappresenta affatto un punto di arrivo. Gli autori dello studio hanno individuato infatti altre tre componenti che potrebbero influire nello sviluppo dell’ape regina. Quello che gli scienziati ora stanno tentando di capire è quanto siano importanti questi fattori e quali interconessioni potrebbero avere. Inoltre lo studio di questi meccanismi, come accennato all’inizio dell’articolo, potrebbe svelare nuovi importanti scenari nello studio dell’invecchiamento umano. Alcuni ricercatori recentemente sono stati in grado, nelle api operaie, di far regredire alcuni segni tipici della vecchiaia.

[ Fonte | il sussidiario.net ]

Gli occhi delle api per i robot volanti

Le api, essendo dotate di un cervello molto piccolo, fanno grande affidamento sulle loro capacità visive per orientarsi e sopravvivere in ambienti anche difficili. Per capire meglio il funzionamento della vista di questi piccoli insetti, e come essa ne influenza la vita, un gruppo di scienziati dell’università tedesca di Bielefeld ha creato un occhio artificiale, che sperano possa svelare il segreto delle capacità di orientamento e di elaborazione delle informazioni durante il volo.

L’obiettivo finale è quello di usare le conoscenze acquisite, applicandole a tecnologie quali gli aerei in miniatura (MAV, Micro Aerial Vehicles) per migliorarne le potenzialità. L’occhio d’ape artificiale è costituito dalla combinazione di uno specchio e di una lente, accoppiati a formare una sorta di cupola che riflette le immagini verso l’interno, dove è piazzata una singola videocamera che così è in grado di raccogliere le immagini stesse, con un campo visivo di circa 280 gradi.

Tali immagini vengono poi fuse elettronicamente in modo da ottenere un fuoco perfetto anche con un così ampio angolo visivo. I tentativi effettuati in precedenza non erano stati in grado di ottenere simili risultati dal punto di vista dell’accuratezza dell’immagine raccolta, e per ottenere un risultato del genere bisognava usare una doppia telecamera, che sarebbe stata troppo pesante per essere poi montata su un MAV.

Ovviamente il tutto è in fase di ulteriore perfezionamento, ad esempio studiando la possibilità di visualizzare la luce ultravioletta, cosa che le api sono già in grado di fare, e che renderebbe il sistema ancora più simile all’occhio naturale degli insetti, sperando che conduca anche alla comprensione di come i loro occhi processano le immagini ed inviano i relativi stimoli neurali al cervello.

[ Fonte | endoacustica ]

Gli apicoltori chiedono il divieto definitivo per i pesticidi killer delle api

ROMA. La Federazione apicoltori italiani (Fai) e l’Unione nazionale associazioni apicoltori italiani (Unaapi) hanno presentato ai ministeri della salute e dell’agricoltura e agli assessori regionali all’agricoltura di Toscana, Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia una motivata richiesta formale perché sia deciso il definitivo ritiro dell’autorizzazione d’uso dei concianti del mais.«Il declino di api e apicoltura e i conseguenti rischi per gli equilibri ambientali e per quelli produttivi agricoli hanno, tra l’altro, allarmato l’opinione pubblica – sottolineano il presidente del Fai Raffaele Cirone e quello dell’Unaapi Francesco Panella – All’origine del grave fenomeno è unanimemente e scientificamente condivisa l’interazione di una molteplicità di cause; in Italia come in altri paesi europei, tuttavia, si è evidenziato inequivocabilmente che l’utilizzo di insetticidi neurotossici, per la concia del seme di mais rappresenta una delle cause principali e responsabili di fenomeni diffusi di spopolamento e morìa degli alveari. La grave entità del danno subito dal comparto apistico ha comportato, a partire dal settembre 2008, la decisione di sospendere l’impiego di tali concianti rinnovata anche nel corso dell’anno 2009».

Unaapi e Fai sottolineano alcuni dati: «nel periodo del divieto d’impiego dei neonicotinoidi si è riscontrata un’evidente ripresa dello stato di salute e di buona produttività degli allevamenti apistici italiani; nel periodo di mancato impiego di semi conciati non si sono verificati fenomeni, al contrario delle allarmistiche previsioni, di danni da diabrotica su mais. In merito alla complessa problematica del fenomeno della morìa delle api, il Mipaaf ha recepito le nostre istanze per l’avvio di Apenet, un piano di monitoraggio nazionale (pubblico, scientifico, indipendente), che fornisse elementi di supporto alle decisioni da adottare per la salvaguardia del patrimonio apistico nazionale. Le prime risultanze scientifiche di questo monitoraggio hanno confermato quanto già verificato in campo e qualora le più recenti acquisizioni dei ricercatori evidenziassero ulteriormente la responsabilità dei neonicotinoidi s’imporrebbe l’assunzione di una decisione basata sul principio di precauzione. La Ue, infatti, ne prevede l’adozione quando “Una preliminare valutazione scientifica obiettiva (indichi), che esistono ragionevoli motivi di temere che gli effetti potenzialmente pericolosi sull’ambiente e sulla salute umana, animale o vegetale possano essere incompatibili con il livello di protezione prescelto”. (Comunicazione COM (2000)1 del 2.2.2000 punto 3, comma 10)».

Per questo Panella e Cirone chiedono che «1. sia definitivamente revocata l’autorizzazione d’uso di molecole neurotossiche per la concia delle sementi di mais; 2. venga ribadito, anche ai sensi della legge n. 313/2004 recante Disciplina dell’Apicoltura, il divieto d’irrorazione di insetticidi su mais in fioritura, il cui polline è abbondantemente bottinato da api e altri insetti utili, e sia rigorosamente represso il loro eventuale impiego; 3. venga promossa la pratica agricola della rotazione colturale monoculturale del mais in tutte le zone a rischio diabrotica e venga divulgata presso il mondo agricolo l’utilità delle api per gli incrementi produttivi dell’agricoltura italiana».

A sostegno delle due associazioni degli apicoltori arriva Legambiente che condivide la necessità di «Stabilire il divieto definitivo all’uso di questi pesticidi (cosa che ha permesso, nei mesi di sospensione, il ripopolamento degli alveari), ribadire il divieto d’irrorazione di insetticidi su mais in fioritura (il cui polline è abbondantemente bottinato da api e altri insetti utili), e impedire la monocoltura in successione a favore della rotazione colturale». Gli ambientalisti ricordano che «Anche il Servizio fitosanitario della Regione Lombardia ha segnalato in modo pubblico non solo l’inopportunità e dannosità dei trattamenti insetticidi in fioritura del mais ma anche la loro illegalità. L’approccio che privilegia l’intervento chimico, con uso di concia delle sementi con i neonicotinoidi ha dato prova d’essere assolutamente inappropriato e incapace di contenere le popolazioni del coleottero nord americano. Per combatterlo basta cambiare periodicamente coltivazione con la rotazione colturale, che non richiede alcun uso d’insetticidi e di seme conciato»

La risposta del ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, Giancarlo Galan non si è fatta attendere, ma non crediamo che piacerà molto ad apicoltori e ambientalisti. «Prima di tutto – si legge in un comunicato del ministro – oggi vorrei rassicurare le Associazioni dell’apicoltura italiana sul fatto che la tutela e la salvaguardia del patrimonio apistico nazionale rappresentano per me una questione prioritaria. Nel contempo, però, non intendo porre nei termini di una ulteriore guerra di religione anche la vicenda della sospensione degli insetticidi utilizzati nella concia del mais, i neonicotinoidi, e questo dopo il fenomeno dell’allarmante moria delle api verificatasi nel nostro Paese nel 2008. Ecco perché intendo sottolineare, a questo proposito, l’indiscusso valore del programma di ricerca Apenet, finanziato dal mio Ministero e coordinato dal Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura, che ha fornito già alcuni elementi importanti, ma dal quale mi attendo ulteriori informazioni».

«Da quanto emerso finora, comunque, il programma di ricerca ha confermato il nesso esistente tra i principi attivi oggetto di sospensione e il fenomeno della moria delle api e dello spopolamento degli alveari, ma ha anche evidenziato un netto abbattimento della dispersione delle polveri durante la semina di mais, grazie al miglioramento delle tecniche di concia e alle modifiche apportate alle seminatrici. In ogni caso, avremo a disposizione ulteriori riscontri sperimentali, soprattutto per quanto concerne gli effetti sulle api della dispersione delle polveri in pieno campo. Da ultimo, mi preme evidenziare che ho previsto il potenziamento della rete di monitoraggio, avviata da Apenet già nel 2009, così da renderla permanente e più capillare allo scopo di garantire il massimo controllo dei fenomeni che possono causare la moria delle colonie di api, che come è noto, rappresentano delle vere cartine di tornasole sulle condizioni reali dell’ambiente».

[ Fonte | greenreport.it ]

Scoperta una nuova specie di api in Turchia

Api che fanno il nido con i petali dei fiori per sfuggire agli attacchi dei nemici. Stiamo parlando dell’osima avoseta: l’ultima specie scoperta, per caso nelle lande rocciose della Turchia, dai ricercatori dell’American Museum of Natural History. Attirati da alcune buche colorate nel terreno, durante il corso di altri esperimenti scientifici sul territorio, gli studiosi americani hanno avuto la possibilità di osservare anche una particolare specie di ape, mai classificata prima d’ora, capace di sfruttare tutta la fantasia della natura per mettere al sicuro i piccoli dagli attacchi dei predatori.

La particolarità di questo curioso imenottero, infatti, è l’abilità di costruire, con petali e fango, dei rifugi simili a ditali colorati e di conficcarli nel terreno per proteggere le larve durante la stagione invernale. Ogni femmina della specie può creare fino a dieci architetture floreali al giorno e dar vita a dei veri e propri paesaggi colorati nelle profondità del sottosuolo turco. Un’operosità necessaria per salvaguardare la prole dalle vespe che spesso distruggono il nido delle api per costruirci il proprio. “ Un comportamento insolito e bizzarro per questo tipo d’insetti – asserisce Aulo Manino, docente di entomologia all’Università degli Studi di Torino -. Per la costruzione del nido, infatti, le api utilizzano soltanto parti vegetali ritagliate e mai porzioni intere di fiori. Anche in Italia, per esempio, la nostrana e operosa megachile rotundata nidifica nelle cavità legnose ma adopera soltanto i pezzi delle foglie”.

[ Fonte | Libero ]

L’iniziativa insetti impollinatori

Raccolti a rischio per la carenza di impollinatori: il Regno Unito vara un’iniziativa per comprendere i motivi della crisi.

L'”allarme api” è stato lanciato in tutto il mondo già qualche anno fa. Oggi il declino degli insetti impollinatori (selvatici e domestici) sembra inarrestabile, ed è accompagnato da un altrettanto inarrestabile declino delle specie floreali selvatiche. Per comprendere i motivi di questa crisi, ma soprattutto capire come fiori e api siano collegati nasce nel Regno Unito la Insect Pollinators Initiative.

Gli scienziati non danno infatti per scontato che la diminuzione della biodiversità delle specie vegetali dipenda dal minor numero di impollinatori (fondamentali per la riproduzione). Potrebbe anche darsi il contrario, e i ricercatori inglesi sono intenzionati a scoprirlo. L’iniziativa prevede nove progetti di ricerca distinti e un finanziamento di circa 12 milioni di euro (dieci milioni di sterline) spalmato su cinque anni.


L’argomento non è interessante solo per la difesa dell’ambiente e della biodiversità. Ha infatti un enorme peso economico. Molte specie agricole dipendono per la loro riproduzione dagli insetti impollinatori che garantiscono la fecondazione trasportando il polline (gamete maschile) sugli ovari (dove è contenuto l’uovo, il gamete femminile) di un altro individuo. Senza l’azione impollinatrice le piante non possono riprodursi.

Gli esperti hanno calcolato che se dovessero sparire tutti gli insetti impollinatori nel solo Regno Unito il danno economico sarebbe di più di 500 milioni di euro ogni anno (circa il 13% prodotto agricolo britannico)

I progetti varati dall’iniziativa intendono indagare la relazione di causa-effetto fra le specie vegetali e gli insetti, e mettere a punto strategie per ribaltare il trend negativo attuale. “Determineremo quali impollinatori, selvatici e domestici, contribuiscono all’impollinazione dei raccolti che dipendono dagli insetti per la riproduzione e indagheremo anche se la scarsità di impollinatori limita la produzione agricola nel Regno Unito”, ha commentato Koos Biesmeijer, un ricercatore dell’Università di Leeds coinvolto nei progetti.

[ Fonte | Ulisse ]